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Grecia Ionica in kayak - 1 AGOSTO - LA ROTTURA DEL KAYAK A ZANTE


Quando mi sveglio al mattino, mi ricordo della luna incredibilmente luminosa che ho visto durante la solita pipì notturna. Uno spettacolo di luna piena davvero unico, osservato per pochi minuti, con gli occhi socchiusi del sonno, ma impresso indelebilmente nella mia memoria. 
Il traghetto è lì, di fronte a me, a poche centinaia di metri. [...]


Ha riacceso i motori  e tra un paio d’ore salperà per Agios Nikolaos. Faccio una veloce colazione, ingavono tutto alla men peggio e riatterro sullo scivolo del porticciolo dove ero atterrato ieri pomeriggio.  Lascio il kayak e salgo sul molo, percorrendo una stradina breve ma molto ripida. Mi accerto che il traghetto salpi regolarmente alle 8 e poi chiedo agli addetti all’imbarco di aiutarmi a trasportare il kayak fin sul molo. La risposta è negativa. Penso: se non si fosse rotto il carrello il primo giorno di trekking, non starei chiedendo ora il piacere di spostare il kayak alla gente! Comunque non mi scoraggio, mi guardo attorno e cerco qualcuno che mi possa dare una mano. Vedo un signore con lo zainetto in spalla che mi si avvicina, probabilmente incuriosito dal mio abbigliamento tecnico. E’ inglese e si chiama Sean. E’ con la sua famiglia e anche lui deve prendere il traghetto fino a Zante. Parlando parlando, mi dice che anche lui va in kayak e gli sarebbe piaciuto portarlo in Grecia. Non potevo trovare persona migliore per farmi dare una mano nell’imbarco del kayak! Si offre lui stesso di aiutarmi e insieme scendiamo alla spiaggetta per trasportarlo a braccia fin sul molo. 


L’imbarco fila liscio. Lo Scott è sistemato di lato, vicino al portellone mobile.


Finalmente si salpa. 


Io e Sean, tra una chiacchiera e l’altra, facciamo un po’ di foto. 


Riesco a fotografare un  delfino che si avvicina al traghetto per giocare con le onde. 


Dopo un’oretta la sagoma di Zante è ormai vicina. Si vedono le “blue caves” che visiterò a breve in kayak. 


Lo sbarco avviene in un punto della banchina distante dalla spiaggetta che avevo visto dalle immagini satellitari. 


Questa volta Sean non può aiutarmi perché deve correre all’appuntamento col taxi che porterà lui e la sua famiglia all’alloggio. Saluto Sean e rimango poi un quarto d’ora abbondante ad aspettare qualcuno che mi aiuti a trasportare il kayak alla spiaggetta. Per fortuna mi dà una mano un ragazzo italiano gracilino. Mi dispiace vederlo sderenarsi mentre solleva la prua dello Scott sotto il sole cocente del mattino. Purtroppo non posso far altro che spezzettare il percorso in brevi tratti e fargli così riposare braccia e schiena. Quando arriviamo alla spiaggetta, mi accorgo che è davvero minuscola e il kayak quasi non ci entra per quant’è stretta. Metà kayak è sulla sabbia e l’altra metà in acqua. 


Inizio i preparativi per prendere il largo. Ogni tanto sono costretto a tirare leggermente in secco il kayak perché le onde prodotte dai natanti nel porto lo avvicinano troppo agli scogli. Mentre sono in acqua per sistemare l’attrezzatura a prua, arrivano delle onde più grosse e penso bene di spingere leggermente il kayak verso terra per stabilizzarlo un po’; sento un urto secco contro un sasso o qualcosa di simile. Nulla di preoccupante mi dico e continuo nei preparativi. Una volta terminato il set-up, decido di fare un bagno rinfrescante prima di partire. Mi scordo l’iphone, senza custodia stagna, in tasca. Me ne accorgo proprio mentre mi sto tuffando e riesco, non so come, ad evitare di immergermi completamente. Balzo sul bagnasciuga per vedere in che condizioni è il telefono: purtroppo si è bagnato. Nella disperazione più totale noto però che funziona ancora. Passano i minuti e l’iphone è sempre acceso. Un miracolo! L’altoparlante gracchia un po’ ma dopo tutto è il minimo. Mi è già successo una volta e ha smesso di gracchiare una volta asciugato. Mi preoccupa la ricezione, stranamente scarsa per essere in un centro abitato. Cerco di non pensarci e vado a festeggiare con una birra ghiacciata la salvezza dell’inestimabile, unico contatto col mondo civile che ho. Ritorno al kayak, mi ci infilo dentro e noto che va a vuoto la leva dello skeg. Faccio una carrellata dalla A alla Z di tutti i santi Numi poi, come se niente fosse, smonto il comando skeg col multiutensile che porto sempre dietro: si è consumata la punta della vite che tiene bloccato il cavo d’acciaio alla leva. La sostituisco con quella che fissa la scatola del comando alla coperta, in tutto e per tutto uguale ma con la punta sana. 
Quando affondo le prime pagaiate voglio mettermi alle spalle tutto quello che mi è successo in questa mattinata sfigata. “Dopo essere entrato nella prima grotta, non voglio ricordarmi nemmeno il mio nome!” sentenzio.
E così è. Ritrovo il buon umore visitando una per una le bellissime grotte, 




nonostante la presenza alquanto ingombrante dei barconi carichi di turisti che si ficcano ovunque.


Quando doppio Capo Skinari, il punto più a nord dell’isola, mi ritrovo un bel venticello da poppa, che mi da una piacevole spinta in avanti. Inizio la discesa lungo la costa ovest di Zante, rimanendo letteralmente abbagliato dalla sua sconfinata e intatta bellezza. Più di ogni altra parola possono esprimere molto meglio il concetto le foto che ho scattato dal kayak durante  il tragitto.








Per tutto il tempo, guardando la poppa del kayak, la trovo insolitamente bassa, con l’acqua che arriva a lambire il tappo del gavone posteriore. Quando vedo alla mia sinistra una lunga spiaggia, decido di atterrare e dare una controllatina. 


Apro il tappo del gavone e ho l’amara sorpresa: è tutto allagato! Lì per lì non capisco la causa; ipotizzo dapprima la non perfetta chiusura del tappo. Decido comunque di tirar fuori tutto e dare un’occhiata dentro. Uso la pompa di sentina prima e la spugna poi per tirar via l’acqua dal gavone. Quando ci infilo la testa dentro, vedo una raggio di luce attraversare agevolmente lo scafo. A questo punto mi è tutto chiaro. L’urto che avevo sentito sulla spiaggetta del porto ha bucato lo scafo. Panico totale! Mi ricordo di aver portato nella sacca degli attrezzi della resina bicomponente per riparare lo scafo. Così posiziono il kayak con la poppa in alto in modo che non goccioli più acqua dal buco. Aspetto qualche minuto finché sia completamente asciutto. Scartavetro un po’ attorno al foro e preparo l’impasto di resina da applicare. A questo punto eseguo la riparazione vera e propria, stendendo un velo di resina in corrispondenza del foro e spingendo leggermente affinché penetri all'interno. Faccio una seconda passata e infine lascio asciugare al sole.


Nelle due ore successive controllerò tutto quanto ho tirato fuori dal gavone: viveri, attrezzatura, sacche stagne. 


E’ entrata acqua in tutte le confezioni di spaghetti e devo buttarle. Si è bagnato anche il fornello e non penso che l’accensione piezoelettrica funzioni ancora. Il pannello solare e le batterie al litio per fortuna, stando proprio sotto il tappo, nella sacca stagna, non si sono bagnati. Molte merendine e biscotti  sono zuppi. La metà delle scorte di cibo è andata. Non mi voglio disperare ma questa è davvero una botta impressionante. Niente di irreparabile però, perché in trekking può succedere ben di peggio. Separo tutto quello che devo buttare da quello che devo tenere. Dopo un paio d’ore controllo la consistenza della resina ed è abbastanza dura da permettermi di riprendere la navigazione. Fino a quando ripartirò passerà sicuramente un’altra mezz'oretta e quindi posso stare tranquillo che si sarà indurita abbastanza. Ingavono tutto e riparto. Durante la navigazione con la coda dell’occhio controllerò continuamente l’altezza sull'acqua della poppa. La paura sarà sempre quella che la toppa non tenga e che entri nuovamente acqua nel gavone. 
Il viaggio, nonostante i tantissimi inconvenienti di oggi,  riprende alla grande. Mi escono gli occhi da fuori per quanto è bello il mare. Mi fermo a fare mille fotografie perché vorrei portarmi a casa questo angolo di paradiso.
Il mare ha un colore che non avevo mai visto prima. E’ di un blu cobalto intensissimo a largo e sotto costa diventa celeste chiaro chiaro.






Mi accorgo di essere arrivato alla famosa spiaggia del Navagio quando intravedo da lontano il relitto arrugginito della nave.


Mi addentro incuriosito nella baia e noto con tristezza che l’acqua diventa sempre meno trasparente. C’è molta gente in spiaggia e decido quindi di fare un passeggiata radente sotto costa, senza fermarmi.


Esco dalla baia e ritrovo l’acqua trasparente che avevo lasciato. Gli scenari sono da cartolina.





Ad un certo punto sono incuriosito da diversi barconi che entrano in una stretta baia di cui non si intravede il fondo. Li seguo e scopro con stupore che c’è un porticciolo con tante piccole imbarcazioni da diporto. 


Giro la prua a sinistra e mi dirigo verso la spiaggetta in fondo. 


Quando atterro noto che c’è un bar sopra di me. Ne approfitto per ordinare un hamburger e due birre e per buttare il cibo che si era bagnato nel gavone e che avevo temporaneamente sistemato nel retino di poppa. Nell'attesa mi si avvicina un signore che assomiglia in modo impressionante al tipo che guidava il barcone e che mi stava venendo addosso in una grotta vicino Agios Nikolaos. 


Cerco di non pensarci e sorrido. Dice di avermi visto in kayak in una grotta mentre portava i turisti col suo barcone. “Allora è proprio lui!” penso. Mi chiede da dove vengo e mi da delle indicazioni sulle spiagge che incontrerò proseguendo. Mi dice inoltre che c’è una famiglia di amici italiani che soggiorna a Porto Vromi. Chiacchieriamo e un po’ e poco dopo arrivano per conoscermi i suoi amici. Conosco Andrea ed i suoi genitori. Sono di Montesilvano, in provincia di Pescara. Sono gentilissimi, mi offrono persino un caffè caldo e del tabacco da rullare. 


Facciamo amicizia in  men che non si dica. Insistono per farmi fermare la notte a Porto Vromi e per rimanere a cena da loro. Sono lusingato dal loro invito ma, dopo le disavventure di oggi e le poche miglia percorse, ho troppa voglia di avanzare. Prima di congedarmi, mi regalano un panino e della frutta e mi danno preziose informazioni  sulla costa che troverò scendendo. Dicono che dopo 3-4 miglia troverò una croce su una montagna e che, in corrispondenza di questa, sulla sinistra, troverò una spiaggia dove è possibile passare la notte. Devo stare solo attento alla caduta dei sassi sul lato destro. 
Li saluto con affetto e ritorno al kayak per ripartire. 



Manca poco al tramonto, così accelero la pagaiata navigando sotto costa. Quando intravedo la croce sull'alta costa di fronte a me,


sto attento a scorgere alla mia sinistra qualsiasi cosa assomigli ad una spiaggia. Ne vedo una minuscola, troppo piccola per essere quella che mi avevano indicato. Giusto per curiosità mi avvicino un po’. Man mano che avanzo la spiaggia diventa sempre più grande. Probabilmente era l’altissima costa soprastante a farla sembrare piccola. Sono sicuro sia la spiaggia che mi avevano indicato. Fermo il kayak sulla parte sinistra e mi preparo per passarci la notte. Sono davvero stanchissimo. Posso andare a dormire prima oggi perché il lauto pasto al bar mi ha saziato. Non è ancora completamente buio quando entro in tenda. Prima di addormentarmi, attraverso il telo forato, godrò di un panorama vertiginoso e mozzafiato, con lo sguardo che si perde per raggiungere la sommità delle rocce sopra di me.

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